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Lo spazio pubblico delle città è uno spazio conteso.

Il luogo della tensione sociale, dove il fermento dei cittadini diventa frontiera.

Quello spazio interstiziale dove le contaminazioni fra mondi ed esperienze diverse diventano uomini del futuro, cosmopoliti senza tempo.

Poco è rilevante se esso è una strada, una piazza o un parco: è al fronte che si riscrive la storia.

Nei regimi autocratici, dalle metropoli mesopotamiche, alle monarchie medievali, fino agli stati comunisti, le aree aperte nei quartieri centrali sono state usate primariamente per esibizioni di potere statale e potenza militare, quasi palcoscenici teatrali più che luoghi di partecipazione ed aggregazione.

Nelle città influenzate dal confucianesimo, lo spazio pubblico era invece dimensione sacra, regolato da rituali di potere.

I pimagol di Seul, stretti vicoli paralleli alle strade principali, erano i luoghi per riunirsi e chiacchierare in uno spazio pubblico ufficioso lontano dalle regole che governavano la città.

La tessitura urbanistica della  Atene di Pericle concettualmente distante da Alessandria d’Egitto a raccontare di un legame imprenscindibile fra la forma della città e l’ anima dei suoi cittadini.

Una visione ed immaginazione differente crea città’ e uomini diversi comunque agitati dalla stessa tensione.

La città’ come metafora dello spirito dei suoi cittadini, lo spazio pubblico ed il reticolo urbano che ne consegue, momento senza tempo di evoluzione.

Il vicolo o la strada come luogo di socializzazione, uno spazio per fare affari, per stare seduti, passeggiare, giocare ma talvolta utilizzato per controllo sociale per impartire regole.

La strada di quartiere, il vicolo dei nostri centri storici, con diverse funzioni e dominati dalla circolazione pedonale, rappresenta il cuore pulsante stesso della urbanità.

L’ esuberanza della vita dei vicoli e della comunita’ minacciata dalla costruzione delle tangenziali, l’esuberanza della vita di strada minacciata dai rifiuti urbani, dall’avvento della automobile e di quello che talvolta etichettiamo come progresso. 

Una sottile linea di demarcazione che ridefinisce uno spazio fisico dove si crea il progresso come punto di confine fra lo spazio privato e lo spazio pubblico.

Ma quale è la vera dimensione del progresso se non sappiamo guardare ai modelli che furono e che sono arrivati fino a qui filtrati dalla insesorabile linea del tempo. 

Lo spazio pubblico nei secoli e’ e rimarrà sempre il terreno comune, accessibile a tutti, dove la società civile prende forma, lotta si interroga e si evolve.

Noi di adlp vogliamo dibattere  e ripensare ancora ai nostri spazi pubblici, ai luoghi dove viviamo, per immaginare la nostra nuova comunità senza perdere l’ essenza delle cose.

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